sabato, aprile 08, 2006
Lacrime di coglione
Una volta quando qualcuno (persona, categoria, movimento) si beccava un epiteto ingiurioso, anche a volerlo ribaltare facendo assumere all’insulto ricevuto un valore positivo (esempi classici: il Barocco, l’Impressionismo ecc.) ci voleva un po’ di tempo. Oggi, tempo zero, il film di Moretti non era ancora uscito nelle sale che già il Berlusca si presentava a una qualche sua convention esordendo con un fiero: “Sono il Caimano!” Oggi, tempo zero, ’sto caimano non fa a tempo a dare del coglione a chi non lo vota, che già per la rete circolavano almeno due concorrenti magliettine con su scritto: “Sono un coglione”. L’auto-ironia ha infinite ed insospettate capacità conservanti (lo si impara alle elementari e non lo si finisce mai di imparare) da quando il post-moderno la ha – nemmeno sdoganata ma – messa su un piedistallo che così poco le si addice.
Cinquanta nomi hanno i coglioni in milanese, secondo Porta. L’elencazione è una forma tipica della poesia dialettale (o anche solo espressiva, almeno da Burchiello e Pulci in giù - che mi venga in mente), l’oscenità pure, e Porta tematizza entrambe le cose fin dal titolo del sonetto (“Ricchezz del vocabolari milanes”) nel consueto tono scherzoso e, come si suol dire, irriverente. Belli comincia a scrivere in romanesco proprio a partire dalla traduzione di cinque sonetti del Porta, uno dei quali è questo qua. Ma come lo traduce? I coglioni diventano il cazzo, il cazzo è, fin dal titolo, “Er padre de li santi” (i borghesi dileggiati dal suo antecedente meneghino erano giusto fanti), l’elencazione parte diretta come un treno (“Er cazzo se po’ ddì rradica, uscello…”), l’ironia diventa sarcasmo nella coda finale (“… disce (...) ppene,/ seggno per dio che nun je torna bbene.”). Una battuta diventa bestemmia, non c’è motteggio ma spirito di Capaneo. “Il più grande poeta italiano dopo Dante”, ne ha detto Asor Rosa (e va aggiunto ai suoi, pochi ma consistenti, meriti).
Poi è arrivato il posmoderno, le parolacce si son scolorite in tropi correnti, perché non possiamo non dirci coglioni ecc. Mi ricordo che da ragazzo – avevo quel minimo di passione che ti fa credere di essere un vorace lettore che ne sa ogni giorno di più – ogni volta che guardavo ai me stessi passati mi stupivo di quanto fossero ignoranti e anche, nella loro ignoranza, coglioni; e magari in un secondo momento consideravo quel tal giulio passato, che aveva giudicato un giulio a lui passato coglione, coglione – e quest’ombra che mi seguiva nel tempo la chiamavo la linea della coglionaggine. Mi ricordo anche che un giorno mi voltai indietro e non la vidi più. Mi aveva trionfalmente superato. Voto Prodi, ma piango.
Cinquanta nomi hanno i coglioni in milanese, secondo Porta. L’elencazione è una forma tipica della poesia dialettale (o anche solo espressiva, almeno da Burchiello e Pulci in giù - che mi venga in mente), l’oscenità pure, e Porta tematizza entrambe le cose fin dal titolo del sonetto (“Ricchezz del vocabolari milanes”) nel consueto tono scherzoso e, come si suol dire, irriverente. Belli comincia a scrivere in romanesco proprio a partire dalla traduzione di cinque sonetti del Porta, uno dei quali è questo qua. Ma come lo traduce? I coglioni diventano il cazzo, il cazzo è, fin dal titolo, “Er padre de li santi” (i borghesi dileggiati dal suo antecedente meneghino erano giusto fanti), l’elencazione parte diretta come un treno (“Er cazzo se po’ ddì rradica, uscello…”), l’ironia diventa sarcasmo nella coda finale (“… disce (...) ppene,/ seggno per dio che nun je torna bbene.”). Una battuta diventa bestemmia, non c’è motteggio ma spirito di Capaneo. “Il più grande poeta italiano dopo Dante”, ne ha detto Asor Rosa (e va aggiunto ai suoi, pochi ma consistenti, meriti).
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