venerdì, marzo 10, 2006

 

Citare Baricco

Ogni benedetta Pasqua, mia nonna mi buttava giù dal letto alle dieci del mattino, mi trascinava per il braccio di fronte alla televisione, e indicando la folla in religiosa esultanza che traboccava da piazza San Pietro e da Rai1 -mi bociava negli orecchi: “Guarda! E’un sono tutti più coglioni di te!”
Non l’ho letto e non mi piace – disse Manganelli e hanno ribadito in parecchi nei giorni successivi (qua s'è lasciato un po' muffire l'argomento). Gli rimprovero di essere un fico della madonna, di avere una barca di soldi, e buon ultimo di parermi banale e melenso. D’altra parte, al Baricco della critica che l’ha stroncato va accreditata la spaccatura del dipartimento di italianistica della Sapienza a danno di quel comunista familista di Asor Rosa (a cui, a sua volta, va però accreditata perlomeno l’identificazione della cosiddetta “generazione letteraria”). Non ho letto e non mi piace nemmeno il citatissimo Citati, su cui i’bBanda ha detto l’ultima parola. Tutta roba che dà la netta impressione di non dover essere letta. Mentre, da leggere, è quella formidabile tropata – l’equivalenza strutturale del Don Giovanni di Mozart e del Dracula di Bram Stocker, e scusatemi se è poco (la scoperta di simili evidenze è lo scopo della grama vita di ogni comparatista che si dispetti) – che gli meriterà un’immortalità meno vampiresca della sua esistenza come fenomeno di costume.
Chi vende parecchio diventa perciòstesso curtura popolare? Il conformismo proletterario fa bene o fa male? Il genere non funziona meglio, come serbatoio di topoi, delle svenevolezze calligrafiche delle Liala di turno? Gianluca Neri e i suoi non sono molto meglio per analizzarci il pop? I sedicenti poéti non andrebbero presi a pedate – per il bene del peota che è in loro - come voleva Goethe? Ho nostalgia di Papini e forse anche di Sem Benelli: il primo stroncava il secondo ma ne salvava – perché a sbagliare tutto non ci si riesce manco a farlo apposta – un verso, uno solo. Dell’imbrattacarte pratese non è rimasto nemmeno quell’unico verso (o almeno non lo ricordo io), sono rimaste le tette di Clara Calamai in un film di quarant’anni dopo - con relativa folla di gente che nello schermo ci voleva entrare.


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