venerdì, marzo 03, 2006
Disobbedisco: il blog (e non solo)
Non si finisce mai di iniziare, e mille ricominciamenti sono sempre meglio di una sola fine. Ci s’era provato due anni fa, bisognava, stavolta, ripartire dal processo per la disobbedienza senese (vedi post qua sotto), poi l’udienza è stata rinviata, è morto Coscioni, ed ora siamo qua, con mille gomiti che fanno contatto con altrettanti piedi e parecchie paia di papille gustative interrotte. Come disobbedire ancora?
“Disobbedisco!”, si scopre su gugol, è (nel frattempo) anche un musical. Garibaldi disse “Obbedisco” e interruppe la sua marcia su Trento (o era Roma?), D’Annunzio disse “Disobbedisco” e proseguì per Fiume dando luogo ad un’effimera Repubblica dell’Ammore, a vent’anni di italianità dell’attuale Rijeka, ed anche al musical di cui sopra (quando l’avrò finito di ascoltare vi farò sapere se ne è valsa la pena). Gobetti ci ha spiegato che il Risorgimento è stato un disperato tentativo di diventare moderni restando letterati; la Voce fu un proseguimento di quel tentativo, il fascismo (e non l’antifascismo) che ne scaturì (con la complicità di un conflittuccio mondiale e del “Disobbedisco” di D’Annunzio) il suo fallimento finale. Eppure, scalciata fuori dalla porta, la “letteratura” (nel senso che intendeva Gobetti, o in uno lato quanto lo hanno permesso i nuovi media) rientra in politica sotto forma di semiotica; penso alle cerimonie beat (ma la fonte è la Pivano) importate in Italia ed elevate all’atto da Pannella. Negli anni Settanta si è assistito al ribaltamento semantico delle parole “obbedienza” e “disobbedienza” (come da pluricitato, forse mai abbastanza, testamento pasoliniano). Ed arriviamo ai giorni nostri, eravamo appena nati, appena in tempo per ribadire che siamo i primi e i più belli fra i disobbedienti del mondo, in quanto gli unici tecnicamente civili, quando ci siamo trovati di fronte quella parodia degli anni Settanta battezzata, col sangue di “Piazza Carlo Giuliani. Fava”, Genova; dell’offensiva semiotica di quei giorni (Wu Ming, Casarini…) risentiremo, temo, a lungo, mi pare uno dei tre o quattro fattori fondamentali che hanno fottuto questa generazione. Come staccare i gomiti dai piedi, come riattivare le papille gustative? Come disobbedire ancora?
(Proprio non mi riesce, a quanto pare, scrivere i post brevi ed agili che vorrei vedere qua)
In una ricerca sociologica che la nostra Claudia Sterzi (alias dina) condusse alcuni anni fa alle Piagge, il più degradato dei quartieri fiorentini, si rilevava che la zona era, fra l’altro, desolantemente priva persino di scritte sui muri, con un’unica eccezione: “Se la vita t’affanna/ fatti una canna”, da cui l’interrogativo explicit dello studio: “Segno di disagio, o di resistenza?”. Lo sapevate che i recenti moti dei banlieusards parigini hanno fra le concause, magari scatenanti, del loro scoppio un giro di vite proibizionista del governo francese? (Ma il Braccini tutto ciò già lo sapeva, ed ha tentato di spiegarlo a modo suo già qualche annetto fa rimediandone sonore prese di culo anche in casa radicale). E si può dire che l’analogo italico giro di vite ha fatto aumentare il prezzo della maria – e che agli onesti (cioè non penalmente perseguibili) consumatori più o meno appassionati gli girano i coglioni? Da quando Fini è al governo – questo non lo si legge mai sui giornali, eppure ha influito negativamente sulla vita di tutti – centinaia di piccoli coltivatori di canapa sono stati buttati in galera o alla meglio fuori dal mercato (un mercato criminale solo legalmente), mentre i mafiosi che importano droghette dall’Albania piuttosto che dall’Olanda hanno potuto moltiplicare sia i prezzi che il bacino di utenza. Pannella ha detto che il giorno stesso che la cosiddetta legge Fini (quella imboscata nel decreto sulle Olimpiadi) entrerà in vigore disobbediremo in massa. La cosiddetta legge Fini è entrata in vigore il 27 febbraio. Che aspettiamo? Che arrivino i nostri Prodi? Sarebbe così brutto e cattivo agire ora, in campagna elettorale? Bisogna disobbedire ancora.
“Disobbedisco!”, si scopre su gugol, è (nel frattempo) anche un musical. Garibaldi disse “Obbedisco” e interruppe la sua marcia su Trento (o era Roma?), D’Annunzio disse “Disobbedisco” e proseguì per Fiume dando luogo ad un’effimera Repubblica dell’Ammore, a vent’anni di italianità dell’attuale Rijeka, ed anche al musical di cui sopra (quando l’avrò finito di ascoltare vi farò sapere se ne è valsa la pena). Gobetti ci ha spiegato che il Risorgimento è stato un disperato tentativo di diventare moderni restando letterati; la Voce fu un proseguimento di quel tentativo, il fascismo (e non l’antifascismo) che ne scaturì (con la complicità di un conflittuccio mondiale e del “Disobbedisco” di D’Annunzio) il suo fallimento finale. Eppure, scalciata fuori dalla porta, la “letteratura” (nel senso che intendeva Gobetti, o in uno lato quanto lo hanno permesso i nuovi media) rientra in politica sotto forma di semiotica; penso alle cerimonie beat (ma la fonte è la Pivano) importate in Italia ed elevate all’atto da Pannella. Negli anni Settanta si è assistito al ribaltamento semantico delle parole “obbedienza” e “disobbedienza” (come da pluricitato, forse mai abbastanza, testamento pasoliniano). Ed arriviamo ai giorni nostri, eravamo appena nati, appena in tempo per ribadire che siamo i primi e i più belli fra i disobbedienti del mondo, in quanto gli unici tecnicamente civili, quando ci siamo trovati di fronte quella parodia degli anni Settanta battezzata, col sangue di “Piazza Carlo Giuliani. Fava”, Genova; dell’offensiva semiotica di quei giorni (Wu Ming, Casarini…) risentiremo, temo, a lungo, mi pare uno dei tre o quattro fattori fondamentali che hanno fottuto questa generazione. Come staccare i gomiti dai piedi, come riattivare le papille gustative? Come disobbedire ancora?
(Proprio non mi riesce, a quanto pare, scrivere i post brevi ed agili che vorrei vedere qua)
In una ricerca sociologica che la nostra Claudia Sterzi (alias dina) condusse alcuni anni fa alle Piagge, il più degradato dei quartieri fiorentini, si rilevava che la zona era, fra l’altro, desolantemente priva persino di scritte sui muri, con un’unica eccezione: “Se la vita t’affanna/ fatti una canna”, da cui l’interrogativo explicit dello studio: “Segno di disagio, o di resistenza?”. Lo sapevate che i recenti moti dei banlieusards parigini hanno fra le concause, magari scatenanti, del loro scoppio un giro di vite proibizionista del governo francese? (Ma il Braccini tutto ciò già lo sapeva, ed ha tentato di spiegarlo a modo suo già qualche annetto fa rimediandone sonore prese di culo anche in casa radicale). E si può dire che l’analogo italico giro di vite ha fatto aumentare il prezzo della maria – e che agli onesti (cioè non penalmente perseguibili) consumatori più o meno appassionati gli girano i coglioni? Da quando Fini è al governo – questo non lo si legge mai sui giornali, eppure ha influito negativamente sulla vita di tutti – centinaia di piccoli coltivatori di canapa sono stati buttati in galera o alla meglio fuori dal mercato (un mercato criminale solo legalmente), mentre i mafiosi che importano droghette dall’Albania piuttosto che dall’Olanda hanno potuto moltiplicare sia i prezzi che il bacino di utenza. Pannella ha detto che il giorno stesso che la cosiddetta legge Fini (quella imboscata nel decreto sulle Olimpiadi) entrerà in vigore disobbediremo in massa. La cosiddetta legge Fini è entrata in vigore il 27 febbraio. Che aspettiamo? Che arrivino i nostri Prodi? Sarebbe così brutto e cattivo agire ora, in campagna elettorale? Bisogna disobbedire ancora.
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