venerdì, febbraio 02, 2007

 

Malbela lingvo/1

Una macchinetta digitale che non ti porti a giro per appuntarti le immagini come fai con le frasi sul taccuino è inutile come una lingua che nessuno parla ma - la potenza la potenza, c’è chi la preferisce all’atto. E insomma oggi non ho fotografato una bella scritta su un muro, che inneggiava alla liberazione di non so quale noglobal (e vabbè) ma per farlo apostrofava i suoi interlocutori così: “Compagni/e!”. Sic.
L’esperanto è una lingua artificiale “a posteriori”, è stata creata cioè non con la pretesa di racchiudere lo scibile umano o magari ultramondano nei propri giri di frase, ma col modesto intento di essere una lingua d’uso abbastanza facile da imparare perlomeno dai madrelingua indeuropea, con una grammatica senza irregolarità e un lessico un po’ latino, un po’ germanico, un minimo slavo. (Alcune sfrondature grammaticali, in realtà, sono invenzioni non prive di genio: vedi la tabella dei participi - degna del greco classico! ma modero gli entusiasmi e ne riparlo in un altro Malbela lingvo/...). Quando si trattò di sistemare i generi, perciò, a Zamenhof non parve vero di poterci mettere il neutro e amen - e se lì si fosse fermato- e invece no, perché il Doktoro Esperanto (locuzione, vi parrà strano, difficilmente traducibile - il cui significato sta più o meno a metà fra “dottore speranzoso” e “dottor Speranza”) decise di reintrodurre il femminile come genere derivato - il che, avesse dovuto chiamar per titolo una collega, avrebbe fatto sì che costei venisse apostrofata con un Doktorino. Ora, con tutti i casini che comporta la millenaria stratificazione semantica in parole uguali se al femminile piuttosto che al maschile (che? la Rita è la nostra “segretaria”?)-perché Dok, perché ti sei voluto rimettere fra i piedi quella zeppa? perché ci hai voluto fotografare ancora una volta nella stessa posa in cui veniamo così male?


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